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Gio, Apr

Questa affermazione di Sant’Agostino, presa dal Commento ai Salmi (Sl 32), ci richiama due sfide che la nostra vita paolina, oggi più che in altri tempi, si trova e deve affrontare: la prima riguarda la nostra vita comunitaria, nella quale si gioca la credibilità e la stessa sussistenza della vita consacrata paolina; la seconda è quella che ci viene proposta da Papa Francesco con l’enciclica “Fratelli tutti”.

Dobbiamo rileggere i primi articoli delle nostre Costituzioni per avere coscienza di quello che abbiamo liberamente scelto e professato con la nostra professione religiosa nella Società San Paolo: “Con libera risposta all’appello dello Spirito Santo, abbiamo deciso di seguire Gesù Cristo, dedicandoci totalmente a lui e ci siamo uniti come sue membra in fraterna comunione di vita, per essere segno e testimonianza del suo amore, nella congregazione religiosa della Società San Paolo” (Art. 1); “La Società San Paolo è una congregazione religiosa clericale di vita apostolica. Essa ha come fine la perfezione della carità nei suoi membri, conseguita … nella vita comune(Art. 2); “I membri della Società San Paolo, sacerdoti e discepoli, professano i medesimi voti religiosi; formano una comunità di vita, di preghiera e di apostolato (Art. 4); “I paolini stimeranno grandemente la vita comune, come mezzo congruo per acquistare le virtù della carità nel rispetto scambievole e portando i pesi gli uni degli altri” (Art. 6); L’apostolato paolino è realizzato dall’insieme dei membri della congregazione e ha quindi una dimensione comunitaria. Ognuno dei membri raggiungerà pertanto il proprio fine attraverso la congregazione, inserito nel gruppo apostolico con cui vive, prega, lavora e soffre, qualunque sia il suo ufficio” (Art. 77).

Non credo che i Paolini mettono in discussione il valore della vita comunitaria così come viene espressa dalle Costituzioni, né che essa costituisce il fondamento della vita religiosa paolina, almeno, questo è quello che credo e spero. Ma allora ci chiediamo, come mai la vita comunitaria è così frantumata e annacquata? Ma forse la domanda che dobbiamo farci deve essere posta in altro modo: ci piacerebbe vivere una vita comunitaria la cui coralità diventa una ricchezza e una sinfonia di suoni? Possiamo prendere come riferimento l’insegnamento di San Paolo sul corpo o quello del nostro Fondatore sull’orchestra, composta da tanti strumenti, dove ciascuno, in ascolto e in sintonia con l’altro, dà il suo contributo a realizzare un’opera armonica, o, per salire più in alto, la comunione di vita esistente tra le persone della SS Trinità.

Questi discorsi li abbiamo sentiti tante volte e sentirceli riproporre possono provocare una immediata repulsione o essere accantonati subito, definendoli un semplice e pura utopia. Se così fosse, dobbiamo allora domandarci: ma dov’è andata a finire la profezia nella nostra vita religiosa paolina.

Sono stati consumati fiumi di inchiostro per indagare e dare motivazioni sulla crisi della vita comunitaria, che coinvolge non solo la vita religiosa ma le famiglie, la Chiesa e tutta l’intera società civile. Ma tutta questa produzione editoriale, pur avendoci indicato alcune vie d’uscita, non ha prodotto una inversione di rotta, un cambio di mentalità o apertura di nuovi sentieri. Anche questo scritto, rischia di inserirsi in quella colluvie di dotte esercitazioni, ma che smuovono poco le nostre convinzioni e i nostri atteggiamenti e sistemi di vita.

Ciò nonostante, vorrei tentare una ipotesi di lavoro per avviare un cammino di rinascita della nostra vita comunitaria paolina, perché rinascita dovrà essere, non potendoci aggrappare a schemi del passato. La mia ipotesi parte da questo principio o presupposto nel quale mi sono imbattuto nelle mie letture. Esso afferma che: “L’ignoranza del cielo crea sempre tragedie sulla terra”. Tale affermazione, che si potrebbe anche tradurre: quando una persona ignora il cielo crea sempre tragedie sulla terra, contiene due elementi, il cielo e la terra, di cui uno si incarna nell’altro. La rinascita della nostra vita comunitaria non dipenderà dalle analisi psicologiche, sociologiche, antropologiche che possiamo mettere in atto, anche se queste ci aiutano a capire meglio la situazione. Né tantomeno possiamo rimanere bloccati in questo percorso di rinascita, motivando la nostra inerzia con l’impossibilità di andare contro corrente, perché la mentalità mondana, ormai, ha preso piede fortemente nei nostri ambienti.

La resilienza, di cui tanto si parla oggi, come reazione di fronte alla grave situazione pandemica, dovrebbe accompagnare anche la nostra azione nei confronti della crisi della vita comunitaria. Il carburante che attiverà il nostro motore di resilienza è composto dal riprenderci il cielo e riportarlo sulla nostra terra. In altre parole, per far rinascere il valore della nostra vita comunitaria dobbiamo inserire motivazioni, visioni, argomentazioni di cielo nel nostro vissuto quotidiano fatto di relazioni interpersonali, di scelte, di impegni vissuti come frutti dello Spirito di “creature nuove” e che comunicano e lasciano trasparire una scintilla di infinito.

“Ora è il tempo favorevole” non aspettiamo la prossima occasione per avviare questa rinascita, non aspettiamo che siano gli altri a fare la prima mossa in questo cammino di rinascita. Ci vuole la convinzione e la decisione personale, rinnovata giorno per giorno, corroborata dall’ascolto della Parola e dall’Eucaristia, per farci aprire uno spazio di cielo tra le tante nuvole che possono oscurare la nostra vita religiosa paolina.

Solo la nostra vita vissuta può dire davvero la fede che professiamo.

 

* Don Vito Fracchiolla, Vicario generale